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Si chiama “Ocean grabbing”, cioè il sovra-sfruttamento dei mari. Nei fatti, minaccia lo stile di vita, l’identità culturale e l’accesso alle risorse delle comunità che vivono di pesca artigianale.
Questa pratica, infatti, concentra la maggior parte dei diritti di pesca nelle mani di poche compagnie, privando quasi tutti i pescatori di piccola scala del diritto di utilizzare la risorsa primaria per la loro sussistenza e mettendo a repentaglio gli stock ittici e la qualità dell’ambiente marino lungo le coste dell’Africa Occidentale.
La minaccia emergente è rappresentata dal fatto che il pesce da cui dipendono le popolazioni costiere africane viene sempre più utilizzato non per l’alimentazione umana, ma per essere trasformato in farine e oli di pesce per l’industria mangimistica estera.
Sulle spiagge del Senegal, le donne guardano le piroghe che scaricano il pescato e sono tutt’altro che felici. Le reti sono quasi vuote e si aspettano di peggio quando apriranno nuove fabbriche straniere per convertire il pesce in farina.
La situazione si è notevolmente deteriorata da quando le fabbriche cinesi, coreane e russe hanno iniziato a sorgere lungo la costa, producendo farina per l’allevamento ittico e l’allevamento del bestiame in Europa e in Asia. Negli ultimi tre anni, 11 impianti sono stati costruiti vicino alle spiagge dove i pescatori locali sbarcano il loro pescato, tra Kayar, a nord della capitale e Joal, circa un terzo, cioè, della costa del paese.
In Senegal lavorano con la pesca artigianale oltre 600 mila persone e se stimiamo le persone coinvolte anche in modo indiretto, come le donne che lavorano il pesce e lo vendono ai mercati, arriviamo addirittura a 825 mila.
L’ impatto socio-economico è notevole, non solo viene danneggiata un’economia locale fortissima, ma viene anche minata la stessa sicurezza alimentare del luogo se si considera che il pesce rappresenta circa il 70% delle proteine animali consumate dall’intera popolazione.
I pesci vengono catturati da coloratissime piroghe di legno che solcano le impetuose onde dell’Atlantico. Una volta riempita la barca di pescato, le piroghe tornano a riva. Le imbarcazioni ormeggiano alla fonda, poco lontane dalle rive della spiaggia che brulica di persone. Inizia così una lenta processione di uomini che, indossando una cerata, si immergono nelle acque, arrivano fino alle sponde delle barche dove ricevono una cassa di pesce e poi, tenendola sulla testa, ritornano a riva per portare il pesce a destinazione.
Alcune casse vengono scaricate direttamente sulla sabbia mentre altre sono portate al mercato, qualche decina di metri più indietro.
I diversi cumuli di pesce sono smistati in base alla barca di provenienza e al tipo; i compratori si affollano attorno ad ogni pigna, scelgono il pesce da acquistare e altri uomini si occupano del carico sui camion. Le ceste di pescato selezionato, coperte di ghiaccio e caricate sui camion frigoriferi, iniziano così il loro viaggio verso le fabbriche di lavorazione per la trasformazione in farina di pesce destinata ai mercati Internazionali di mangime. (testo a cura di