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Il pesce affumicato è una fonte vitale di cibo e reddito per molte persone che vivono nelle comunità costiere del Senegal e in altri paesi dell’Africa occidentale. Secondo i dati forniti dalla Banca mondiale, nel settore sono impiegate circa 600mila persone – quasi il 20 per cento della forza lavoro – e il pesce copre il 75 per cento del consumo proteico del paese. Joal-Fadiouth è uno dei porti di pesca più importanti del Senegal e il più grande centro di lavorazione artigianale del pescato in tutta l’Africa occidentale. Prima di essere esportato nei paesi vicini, il pesce destinato al mercato africano (Burkina Faso, Mali, Costa d’Avorio e Guinea) viene essiccato su centinaia di scaffali di legno. Ogni giorno uomini, donne e bambini lavorano per affumicare il pesce, rimuovere le code, le pinne, la testa; i prodotti finiti, lavorati a mano, vengono poi stesi su dei tavoli bassi per l’asciugatura finale. I commercianti di sale e gli agricoltori consegnano i carri di paglia usati nel processo di affumicatura. Tutti partecipano a quest’attività così preziosa per la sopravvivenza della popolazione del luogo. Sanou Diouf, come migliaia di altre donne della città, lavora a tempo pieno salando e affumicando sgombri, acciughe, sardine. Quando, nel 2010, si è trasferita a Joal, a sud della capitale Dakar, riusciva a guadagnare fino a diecimila franchi cfa (15 euro) al giorno. Oggi, con il crollo del mercato della pesca, è fortunata se riesce ad arrivare a tremila franchi cfa. “La maggior parte delle volte – racconta – devo lottare per riuscire a far mangiare i miei sei figli. Porto a casa un po’ del pesce affumicato perché, spesso, non abbiamo nient’altro”. Le risorse di pesce dell’Africa occidentale, un tempo le più ricche al mondo, si stanno esaurendo a causa dei pescherecci industriali che setacciano gli oceani per soddisfare il bisogno dei mercati europei e asiatici, minacciando così il sostentamento e la sicurezza alimentare del Senegal. (Testo a cura di Benedetta Cortesi).