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L’immigrazione non è un viaggio in prima classe ma una fuga necessaria dalla povertà o dalla guerra. Sguardi persi nel vuoto, corpi esausti, voci spezzate. Le storie individuali di chi decide di gettarsi nel Mar Mediterraneo sono scolpite sui volti dei 1.250 migranti che nelle prime settimane del mese di giugno del 2017 sono state portate in salvo dall’equipaggio della Guardia Costiera Italiana in cooperazione con quella svedese nel quadro di una missione europea. Tutti provengono dall’Africa Sub-sahariana (Burkina Faso, Mali, Sierra Leone, Nigeria, Sudan, Repubblica del Congo, Somalia, Costa d’Avorio), alcuni viaggiano da giorni, altri da mesi. C’è chi addirittura ci ha messo più di un anno a raggiungere l’Europa. Gli avvistamenti avvengono a poche miglia dalle coste libiche, poi inizia la fase dei soccorsi, di notte, al buio, o di giorno, sotto il sole cocente. I gommoni vengono abbordati, i migranti trasportati sulla nave “Ubaldo Diciotti” e disposti sulla plancia di poppa, avvolti dalle coperte termiche. Gli operatori assicurano le prime cure mediche, in primis a donne e bambini, distribuiscono le bottiglie d’acqua ai più assetati, tranquillizzano quelli più impauriti. A pochi metri ci sono anche piccole imbarcazioni con a bordo uomini che osservano discretamente le operazioni di salvataggio. Potrebbero essere gli scafisti travestiti da pescatori. Il più delle volte vengono intercettati per dei controlli. Ogni informazione può essere utile per fermare questo traffico globale di uomini, donne e bambini che ha trasformato il Mediterraneo in un vero e proprio cimitero. Le fotografie di Luca Catalano Gonzaga sono state scattate nel giugno del 2017 a bordo della nave “Ubaldo Diciotti” e raccolte nel progetto “Sea gives, sea takes” raccontano l’epopea collettiva dei migranti e la straordinaria umanità e umiltà dell’equipaggio della Guardia Costiera Italiana (testo a cura di Sebastiano Caputo).