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Nel giornalismo esistono delle regole non scritte che rispondono alle logiche illogiche dell’informazione: ciò che è di rilevante oggi può non esserlo più domani. Si chiama “agenda setting”, un sistema nella comunicazione di massa che spiega perché i massmedia coprono e riportano certi eventi piuttosto che altri, gerarchizzando il notiziario secondo un ordine soggettivo di importanza e spostando l’attenzione da una notizia all’altra senza lasciare spazio all’approfondimento. E’ la teoria del “trasferimento di rilevanza”: ciò che dovrebbe fare notizia viene affrontato con superficialità, mentre ciò che è superfluo improvvisamente viene sbattuto in apertura dei programmi televisivi e su tutte le prime pagine di giornali e riviste. La prima vittima di questo giornalismo mondano, frettoloso, marginale, sono le tragedie umanitarie. Così i diseredati della globalizzazione, lontani dai riflettori e dalle telecamere, vengono inghiottiti dalla globalizzazione dell’indifferenza, o dall’ipocrisia di chi trasforma, solo per qualche istante, quei luoghi disagiati in un red carpet da avanspettacolo. Di fronte a questa narrazione, a tratti sottomediatizzata, a tratti ipermediatizzata, solo la fotografia può rendere visibile quello che prima era invisibile agli occhi dell’opinione pubblica. Il progetto “Invisible people” del fotografo Luca Catalano Gonzaga, sostenuto dalla Fondazione Nando ed Elsa Peretti, in collaborazione con dell’Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli non Rappresentati (UNPO), racconta di regni lontani abitati da popoli dimenticati, ma anche di uomini, donne e bambini le cui vite sono state divorate da vecchie e nuove forme di sfruttamento. Sono storie diverse ma che si intrecciano fra loro, collegate da un filo invisibile chiamato oblio. (testo a cura di Sebastiano Caputo).