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La fase storica che stiamo vivendo, i cosiddetti “anni del Terrore”, è iniziata alla fine degli anni Ottanta quando gli Stati Uniti utilizzarono i mujaheddin per combattere l’armata rossa in Afghanistan. Fu la prima di una lunga serie di “guerre umanitarie” presentate da tutti i grandi mezzi d’informazione come “operazioni di peacekeeping”: Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2012. Ma dietro ai grandi proclami sull’esportazione della democrazia si sono intrecciati calcoli geopolitici e cause economiche molto più profonde. La guerra, per secoli considerata un’arte con la sua etica imprescindibile, si è trasformata in un fatto totale che vuole annientare l’altro in nome di una presunta superiorità del modello occidentale. Per portarla avanti si fanno blitz aerei sul territorio, attacchi di droni telecomandati a distanza oppure si finanziano sul campo gruppi di mercenari stipendiati per distruggere tutte le infrastrutture vitali di un Paese. Le conseguenze sono traumatiche per la popolazione che improvvisamente si ritrova catapultata in una quotidianità spietata, infame, dolorosa. Troppo spesso si racconta la storia di chi scappa, dimenticandoci il coraggio di chi decide di restare, per difendere, in prima linea o nelle retrovie, la propria terra. Il progetto fotografico “A shameless life“ di Luca Catalano Gonzaga descrive le angosce e le speranze di uomini, donne, bambini, che ancora oggi vivono in questi Paesi colpiti della guerra moderna. (Testo a cura di Sebastiano Caputo).